MIGRANDO DI MARIANA CHIESA MATEOS

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Il fenomeno della migrazione ha trovato ampio spazio nella letteratura mondiale, molto è stato scritto e detto su questo argomento che probabilmente ha toccato, direttamente o indirettamente, tutti noi. Da segnalare per la sua originalità un piccolo ma significativo libro il cui titolo è “Migrando”, edito nel 2010 da Orecchio Acerbo con il sostegno di Amnesty International. Il testo, certamente insolito e particolare, quasi completamente scritto attraverso le immagini e i disegni dell’autrice Mariana Chiesa Mateos, argentina ma di chiare origini europee ci fa entrare pienamente in contatto con l’universo dei migranti.

È interessante notare anche la scelta del titolo con il verbo migrare coniugato al tempo gerundio che sta a significare un atto in corso di svolgimento che non si è ancora interrotto. Migrare in effetti significa “abbandonare il proprio luogo di origine per stabilirsi altrove” e questo fenomeno appartiene all’umanità passata, presente e futura. L’autrice ha avuto un’altra intuizione geniale, quella cioè di rendere il libro leggibile da entrambi i lati semplicemente capovolgendolo. In effetti il testo a metà sembra interrompersi ma in realtà crea un legame, se vogliamo spirituale, tra la storia delle migrazioni del passato con quella delle migrazioni attuali. I parenti dell’autrice abbandonarono l’Europa per stabilirsi in Argentina fuggendo dalla miseria e dai conflitti che attanagliavano il vecchio continente con la certezza di trovare un mondo migliore nel quale costruire la propria vita. Ora il fenomeno migratorio si è invertito: in Europa i migranti arrivano spinti dalle stesse motivazioni, ma senza le stesse certezze e le stesse opportunità. In entrambi i casi è evidente il dolore per il distacco dalla terra di origine e dai propri legami affettivi che accomuna tutti gli uomini costretti a migrare. Molto eloquenti a questo proposito sono le pagine in cui l’autrice presenta i volti dei migranti; quelli dei suoi antenati chiaramente appartenenti alla stessa cultura, tutti di pelle bianca, che si muovevano con l’intera famiglia e quelli odierni composti da gruppi eterogenei, di diverse provenienze la cui pelle ha tante sfumature differenti.

 

Molto significativa l’immagine degli uomini che muniti di ali, come gli uccelli, spiccano il volo proprio per migrare, per approdare poi su alberi che possano dare loro un appiglio sicuro su cui costruire il loro futuro. Altrettanto eloquente la rappresentazione relativa ai migranti odierni che si affidano a pericolose traversate dei mari con imbarcazioni insicure e precarie. Abbandonati al loro destino, raggiungono una spiaggia piena di turisti con il successivo arrivo delle forze dell’ordine e di assistenti sanitari che accorrono per dare un primo aiuto. È una vera e propria fotografia che ricalca in pieno ciò che vediamo quotidianamente nelle nostre televisioni o nei giornali; il pensiero corre inevitabilmente agli sbarchi sulle coste italiane dei tanti migranti provenienti dall’Africa o dall’Asia.

In conclusione si tratta di un libro che affascina, incuriosisce, colpisce al cuore il lettore e, anche senza parole ma con la forza delle immagini, fornisce una miriade di spunti di riflessione e un’ampia possibilità di interpretazione sul tema del migrare. 

Paolo Parasecoli

MA PERCHE’ L’ITALIA?

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Una breve storia della mia immigrazione

“Come mai avete scelto l’Italia dal momento che il paese ora è cosi’ poco creativo culturalmente?”. La domanda ci è stata fatta da una coppia che abbiamo incontrato in una sessione di cinema, quando eravamo appena arrivati a Perugia e questo pensiero fino ad oggi ci accompagna.

Siamo brasiliani e abbiamo deciso di vendere tutto ciò che avevamo in Brasile (casa, macchina e mobili) per vivere in un altro paese. Ho lavorato come giornalista freelancer e mio marito faceva il parrucchiere da più di 20 anni. La nostra vita non era mica male! Avevamo una situazione finanziaria confortevole perché lavoravamo circa 10 ore al giorno il sabato compreso. Eravamo lavoratori autonomi senza dipendenti e questo ha facilitato il nostro cambiamento. Difficile è stato lasciare amici e famiglia. La motivazione per vivere nel vecchio mondo – e abbiamo scelto l’Italia perché ho la cittadinanza italiana – era in realtà antica. Un desiderio che solo nel 2011 abbiamo realizzato e non volevamo rammaricarci di non eseguirlo.

Questa è stata la risposta a quella coppia nella sessione di cinema. Ovviamente sapevamo che i paesi della Comunità Europea e l’Euro erano in crisi e che non avremmo trovato vita facile. Neanche speravamo di trovare un Dante, un Da Vinci, un Michelangelo o un Fellini in ogni angolo. Ciò che ci affascinava era la possibilità di sperimentare un cambiamento di vita, di costumi e di lingua. Eravamo e ancora siamo disposti ad affrontare la diversità.

Inoltre, è stato un esercizio molto interessante mettere tutta la nostra vita in un paio di valigie. Questo esercizio ci ha fatto pensare alle cose che sono davvero importanti e indispensabili.

La crisi finanziaria anche non ci spaventa. Chi é brasiliano conosce molto bene questa parola. Da bambini sentivamo sempre che il paese era in recessione, che i prezzi erano in salita e che la disoccupazione era grande.
Il Brasile è visto oggi come un paese in grande sviluppo economico e con una moneta stabile. È la sesta economia mondiale, una grande potenza. Nel frattempo, Italia e diversi paesi europei vivono una crisi senza precedenti.

Quindi, perché cambiare il “certo” con l’ “incerto”? Infatti, il Brasile è cresciuto negli ultimi decenni, ma penso che sono necessari ulteriori progressi in settori come l’educazione, la distribuzione della rendita, la salute e la sicurezza. Questa ultima è stata, senza dubbio, la grande differenza che troviamo qui. Sentirsi al sicuro è un sentimento che non sperimentavamo da molto tempo.

Politicamente i due paesi hanno lo stesso tipo di problema: i politici, quando arrivano al potere, cominciano a preoccuparsi solo come proseguire nella loro bella vita.

Ma l’Italia – che secondo quella coppia del cinema è oggi poco creativa – è la nostra casa adesso. Ci siamo trovati molto bene qui, ci adattiamo alle abitudini e allo stile di vita italiana.

I brasiliani e gli italiani sono molto simili nell’essenza. Se al paese manca la creatività, ha un talento per l’offerta di storia, cultura, tradizione, bellezza e sapore. Forse questo potrebbe spiegare perché così tanti artisti brillanti hanno trovato ispirazione per i loro capilavori atemporali vivendo qui, anche se in momenti diversi.

La crisi é sopratutto umana. Viviamo una società in cui l’importante è consumare senza necessità, è trasformarsi in una celebrità istantanea (come Andy Wahrol ci ha anticipato), è fare amici virtuali, è isolarsi ognuno con il suo telefonino e computer, che ironicamente sono stati creati per ridurre la distanza fra le persone.

Si non è il momento ideale, l’importante è che sia il momento. Per noi la dolce vita, la bella vita è una questione di come la si affronta.

JOICE MONTEFELTRO

Foto: Luis Jorge

TOGLIENDO LA MASCHERA PER RACCONTARSI

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Laboratorio integra i giovani intorno alla festa di carnevale di vari paesi del mondo.

Costruire maschere di carnevale è stata la sfida posta ai partecipanti del Laboratorio sulla Cultura Sudamericana chiamato “El Carnaval de mi tierra”. Gli incontri sono stati promossi dal progetto Fa.mi.lin.g (Famiglie migranti e Linguaggi dei giovani) in tre appuntamenti pomeridiani al Centro Servizi Giovani, di via del Macello, a Perugia.

Un approccio creativo sulle tradizioni dei paesi sudamericani attraverso il carnevale, periodo dell’anno in cui si fa festa, si organizzano balli in maschera, si indossa il costume e si fanno scherzi.

Più di 20 partecipanti da 12 a 30 anni – venuti dai paesi del Sud America, dell’Africa, dell’Asia e dall’Europa dell’Est – si sono uniti intorno alla maschera, un simbolo comune del carnevale in tutto il mondo.

“Ci sono tante le diversità culturali, ma tutti identificano la maschera come l’immagine che sintetizza il carnevale. Per alcuni, le maschere possono evocare un rituale, per altre solo un gioco”, ha detto Ana Aranda, l’insegnate di arte che ha condotto questo laboratorio. Peruviana, lei vive e lavora a Perugia da 11 anni.

Utilizzando materiali semplici come plastilina, palloncini, carta colorata, inchiostro e porporina, l’insegnante ha spiegato passo passo come fare una maschera, lasciando che la libertà creativa dei partecipanti venisse alla luce durante la produzione.

A poco a poco, le maschere hanno assunto forme personalizzate secondo il repertorio e ricordi di ognuno.

“Ho visto un ragazzo che ha fatto la sua maschera con i colori della bandiera del suo paese di origine. Credo che per lui sia un modo di dare il suo viso alla sua creazione, mostrando la sua vera identità agli altri partecipanti. È come se lui dicesse: questo sono io, però adesso sono qui e voglio convivere con voi. Un laboratorio d’arte offre questa possibilità”, ha osservato Ana Aranda.

Così, la maschera che serve per nascondere il volto e garantisce l’anonimato, addirittura serve come una rappresentazione dell’anima di chi la produce.

Uno dei più abili del laboratorio è stato un giovane di 12 anni:. Elijah Kyle, nato a Hong Kong e venuto dalle Filippine da 9 mesi a Perugia, ancora ha difficoltà a esprimersi in italiano, ma ha mostrato un’incredibile capacità manuale. “Non avevo mai fatto una maschera prima. Mi è piaciuto partecipare e sono molto felice di essere qui”, ha detto Elijah a fine lezione.

L’altra partecipante sagace è stata Elena Usenco, 16 anni, nata in Moldavia e da 6 anni a Perugia. “Ho conosciuto il carnevale come festa qui in Italia però le persone usano sempre maschere comprate nei negozi. È più divertente e penso di aver fatto un buon lavoro”.

Anche il camerunese Ronald Mbieleu, 22 anni, da 6 mesi a Perugia, anche ha condiviso la tradizione mistica che coinvolge la maschera nel suo paese: “In Camerun, ogni etnia ha la sua maschera che rappresenta gli dei. Si fa una cerimonia ritualistica dove chi indossa la maschera ha il potere di curare una malatia e di scacciare lo sfortunio”.

Le maschere prodotte nel laboratorio faranno parte dello scenario di una festa di carnevale, prevista per il 25 febbraio al Centro Servizi Giovani, che riunirà i partecipanti dei corsi del progetto Fa.mi.lin.g. Certamente sarà una grande opportunità per scambiare informazioni sui carnevali di culture lontane e di arricchimento personale e collettivo attraverso una delle feste più popolari del mondo.

JOICE MONTEFELTRO

Foto: Luis Jorge

IL CINEMA COME FONTE DI COMPRENSIONE DELLA REALTÀ

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I film che mettono gli immigrati al centro della trama rafforzano l’importanza di affrontare il paese in cui viviamo.

Un’Italia multietnica e cosmopolita ha dato il “benvenuto” ai primi nati in varie parti del paese nel 2012. Questo anno, la nazionalità dei piccoli è stata, senza dubbio, il simbolo di un paese fatto di persone non tipicamente italiane ma di cultura diversa: sono figli degli immigrati o di una coppia in cui uno dei genitori è straniero. Segni dei tempi? Forse.

Più che una curiosità mediatica, la notizia rivela una realtà che il cinema ha già osservato. La settima arte ha interpretato il fenomeno dell’immigrazione, non solo in Italia ma anche in tutta Europa, facendo il suo lavoro di riprodurre le relazioni che esistono nella realtà, nei fatti e nelle storie.

Un film con questo tema dal registro realistico è “Terraferma”, premiato dalla giuria del Festival Cinematografico di Venezia 2011. La pellicola guarda al mare come un luogo sinonimo del problema e delle soluzioni. Dal mare arrivano persone in fuga in un’isola al Sud d’Italia, un posto che vive di turismo. La trama coinvolge la contraddizione della legge del mare che salva ma allo stesso tempo porta in terraferma l’indigenza di persone in fuga.

Il tema può essere affrontato in forma di satira crudele, come è il caso del film “Cose dell’Altro Mondo”, una divertente commedia uscita l’anno scorso, che tratta con intelligenza il fenomeno dell’immigrazione e il discorso della necessità della presenza degli immigrati per la sopravvivenza di coloro che più si oppongono alla loro presenza. Dopo una dichiarazione xenofoba in un programma televisivo, contro tutti gli extracomunitari che vivono in una città del Nord-Est d’Italia, essi svaniscono improvvisamente, lasciando il lavoro indispensabile agli italiani che non lo vogliono più fare.

La questione emigrazione è frequente come argomento cinematografico anche nei film stranieri. Una pellicola tedesca, uscita nel 2011 e intitolata “Almanya”, lo fa con i toni della commedia ma senza superficialità. Racconta la difficoltà dell’incontro culturale tra due nazionalità diverse. Il film tratta l’integrazione di una famiglia che viene dalla Turchia per vivere nella Germania degli anni ‘60. Lì la famiglia cresce, si abitua al modo di vita tedesco e c’è il suo contributo allo sviluppo del paese riconosciuto dal governo stesso. Ma il patriarca della famiglia conserva il sogno di comprare una casa nella sua terra d’origine. Così comincia un viaggio di scoperte e riscoperte delle loro origini, che di fatto non conoscono. La storia di questo scontro culturale viene vista attraverso l’ultimogenito che ha voglia di capire meglio la sua origine turca e la sua nazionalità tedesca unite, che per lui non è sempre facile comprendere.

Questi sono solo tre film che si concentrano sull’immigrazione come una questione sociale e non un semplice caso di polizia. Mettere gli immigrati al centro della trama può essere visto come il sintomo di un desiderio di trattarela questione in modo avanzato. Il cinema ci dà la capacità di capire che siamo parte della sua osservazione.

In una sala cinematografica, chi guarda pensa alla vita, si mette al posto dei protagonisti e cerca di identificare qualcosa di personale o collettivo con quello che succede ai personaggi della pellicola; nonostante nella vita reale il problema dell’immigrazione sia molto più ampio di quello visto sullo schermo, alcune volte divertente, altre dolorose.

JOICE MONTEFELTRO

 

UN MODO PARTICOLARE DI SOPRAVVIVERE AL TEMPO

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Annamaria e Vittore: "Offriamo gentilezza, cosa che manca nei grande negozi".Un piccolo negozio di alimentari compie 50 anni di attività, facendo della cortesia e della passione il suo grande segreto.

“Faccio questo lavoro per passione”. Così Vittore Ziarelli definisce la ragione di proseguire con il suo lavoro, dopo più di mezzo secolo con il suo piccolo negozio di alimentari. Situato in via Ascanio della Corgna da 51 anni, a Perugia, il commerciante spiega come rimane aperto di fronte alla brutta concorrenza con i grandi supermercati. Dice: “Il mondo è cambiato. Le persone vivono in fretta e fanno la spesa nel posto dove si trova tutto insieme, meno quello che io posso offrire qui, cioè trattamento personale, buoni prodotti e gentilezza, cosa che manca nei grande negozi”, sottolinea Ziarelli.

Ma non fa da solo. Lui condivide la responsabilità con sua moglie Annamaria Ziarelli, che da fidanzata già lavorava con lui, due anni prima di sposarsi. “La nostra giornata comincia presto, fra le 5 e le 6 della mattina. Riempiamo la macchina con le verdure e la frutta da poco raccolta, quindi fresca, poi facciamo una spesa di quello che manca nei magazzini a Ponte San Giovanni. Alle 7 già stiamo in negozio fino alle 20, con una piccola pausa per pranzo.”

Da Torgiano, dove abitano, viene la maggioranza dei prodotti alimentari che vendono nel piccolo spazio affittato. Piccolo spazio, però grande nell’accoglienza. “Questo è il nostro mestiere. Da sempre coltiviamo frutta e ortaggi, la nostra roba è fresca, di qualità e stagionale. Nei supermercati, invece, i prodotti sono surgelati, diversi dai nostri che hanno sapore e freschezza. Conosciamo bene la frutta e la verdura e così offriamo qualità e prezzo conveniente ai nostri clienti”, evidenzia Ziarelli.

La clientela è cambiata negli ultimi anni, a causa di vari motivi. La fretta delle persone, la mancanza di parcheggio, la partenza degli uffici del Comune e della Questura hanno ridotto il movimento di persone nella via. Però rimane una clientela fedele del quartiere che riconosce il valore del loro lavoro. “Dopo tanti anni nello stesso posto, abbiamo creato un rapporto di amicizia e di fiducia con la clientela, alcune persone sono diventate confidenti. Li chiamiamo per nome, conosciamo le loro abitudini e i loro gusti”, spiega la coppia.

Per celebrare tutto questo tempo di dedizione e di professionalità, i familiari hanno fatto una festa a sorpresa l’anno scorso, anno nel quale hanno compiuto 50 anni di lavoro nel negozio di alimentari, con palloncini, spumante, dolce e una targa commemorativa. “È stata una sorpresa quando siamo arrivati al negozio dopo il pranzo e abbiamo visto quel movimento di persone e di giornalisti davanti al nostro posto di lavoro. Ci siamo commossi ed emozionati!”

Chiediamo se pensano di andare in pensione. A questa domanda loro rispondono di no. Dicono che proseguire non è noioso e fa bene al corpo e alla mente. “C’è uno scambio giornaliero di informazioni nuove, si incontra e si chiacchiera con gli amici. Il nostro segreto per andare avanti è fare il nostro lavoro con piacere”, affermano gli Ziarelli, sapendo che nessuno della famiglia proseguirà la loro attività. “Questo tipo di lavoro ha i giorni contati. I nostri figli hanno le loro professioni e le nostre nipoti vivono i loro desideri, un’altra vita”.

JOICE MONTEFELTRO

Foto: Luis Jorge

SABOR DO BRASIL

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Tra le bellezze di Perugia e, perché no, tra le sue eccellenze troviamo un brasiliano di 36 anni che con coraggio e determinazione porta in alto la bandiera del suo paese attraverso le prelibatezze culinarie del suo ristorante “Farfalle e Pappagalli”che si trova ad Ellera, in via Amilcare Ponchielli n. 9. Una città ricca di diversità culturali e linguistiche non poteva non avere nel suo “menù” un’offerta di questo livello. Manoel del nord est del Brasile, un bahiano doc, da ben undici anni in Italia e da circa due a Perugia, ha passato i suoi primi otto anni “italiani” a Milano, lavorando presso i più conosciuti ed apprezzati ristoranti brasiliani del capoluogo meneghino; in seguito si è trasferito sulle sponde dell’adriatico, nella città di Riccione. La sua esperienza lavorativa era già iniziata in Brasile, addirittura i suoi primi passi nell’arte culinaria verde-oro li ha mossi intorno all’età di 20 anni. Attualmente è il proprietario del locale presso cui, in precedenza, lavorava come dipendente. Ha quindi assunto l’onere e l’onore di portare avanti quest’attività già avviata e si tratta di un impegno importante poiché questo è l’unico ristorante brasiliano presente in Umbria. Manoel dichiara che sin dal suo arrivo in Italia si è trovato subito a suo agio; afferma perfino che: “l’Italia è un paese accogliente come il Brasile, dove si possono realizzare, certo con impegno e determinazione, i propri desideri”. Con la sua professionalità cerca di soddisfare le esigenze dei suoi clienti, che non sono soltanto italiani ma anche di altre nazionalità, offrendo piatti tipici della cucina brasiliana affinché possano vivere a pieno i sapori, i gusti, i colori della cucina brasiliana autentica. Il nostro “chef” ci dice che tra i piatti più apprezzati ci sono: la feijoada e arroz branco; la farofa; il churrasco; l’ananas arrosto e, tra le bevande, la famosa caipirinha. Tra i dolci non può mancare all’appello la mousse de maracujà e il pudim de leite condensado. Un’altra importante freccia all’arco di questo giovane cuoco è quella di usare materie prime brasiliane che gli permettono di fornire un servizio di alta qualità e, ovviamente, molto aderente alla realtà della cucina brasiliana. Un impegno a cui tiene particolarmente, insieme ai suoi collaboratori che sono tutti di origine brasiliana e rappresentano il paese da nord a sud, è quello di presentare al meglio la sua patria d’origine cercando di evitare l’immagine, ormai obsoleta e ripetitiva, di un Brasile fatto solo di carnevale e calcio (o come dicono i brasiliani futebol e carnaval), Manoel afferma: “Il Brasile non è solo questo ma è un insieme complesso di culture, tradizioni, costumi e storie differenti tra loro. Qui riusciamo a presentare un’immagine del Brasile in tutte le sue peculiarità.” Lo sforzo che tenta di portare avanti insomma è quello di dare ai suoi clienti un panorama completo della sua terra fatta di ricchezze culturali, naturali e, sicuramente, di allegria e simpatia e questo grazie anche alla musica che è una parte dell’offerta del suo ristorante che fanno immergere il visitatore nell’atmosfera magica del paese sud americano.

Marlei Zanete

MEDIO ORIENTE DI SAPORI E SAPERI

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Un viaggio attraverso i suoni, i gusti e le abitudini dei paesi arabi ha segnato l’inizio degli incontri di approfondimento sulla cultura araba, promosso dal progetto Fa.mi.lin.g (Famiglie migranti e Linguaggi dei giovani) dal mese di marzo, al Centro Servizio Giovani (CSG) a Perugia.

Nel corso di due sabati pomeriggio, 3 e 10 marzo, i partecipanti sono stati immersi nella musica e nei piatti tipici dell’universo arabo, che ha aggiunto il ritmo e il sapore peculiare del Medio Oriente agli incontri condotti da rappresentanti della comunità araba della città.

Oltre a conoscere gli strumenti musicali antichi e le abitudini a tavola, il pubbico ha guardato vari video sul contesto sociale che coinvolge i lavori, l’arte e altri costumi.

La cosiddetta Primavera Araba – movimento civile iniziato negli anni scorsi nei paesi come la Tunisia, l’Egitto e la Libia – è stata ricordata da tutti. Un documentario emozionante con le scene di lotta del popolo arabo per l’affermazione e l’indipendenza ha riassunto la rivolta rivoluzionaria contro anni di oppressione.

L’immersione in questa cultura molto presente a Perugia proseguirà con lezioni di arabo, offerte sempre il lunedì (dalle 17.00 alle 18.00) e il mercoledì (dalle 19.30 alle 20.30). I prossimi incontri permetteranno agli interessati un maggior contatto con le abitudini dei popoli arabi, mentre si impara l’alfabeto, la calligrafia e la pronuncia di questa lingua così ricca.

Joice Montefeltro

TEMPO DI CARNEVALE – CAMERUN E MOLDAVIA

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a cura degli allievi del laboratorio di Lingua e Cultura Italiana del progetto Fa.mi.lin.g

In Moldavia e Camerun non si festeggia il carnevale. Ma in ogni Paese esistono feste legate a leggende molto interessanti.

Una celebrazione tipica nel litorale del Camerun si chiama “Nguodo” che significa “abitanti dell’acqua”. Questa cerimonia realizzata ogni fine dell’anno è celebrata per portare la pace, combattere i danni e il tasso di mortalità. Si crede che dentro l’acqua esista un altro mondo pieno di vita. A questa cerimonia sono invitati capi di regioni e capi d’etnia, streghe e turisti. Si fanno canti spirituali, danze tradizionale e riti. Ci sono anche sacrifici di animali e persone che camminano sopra l’acqua cercando il messaggio divino dentro dell’acqua. Alla fine si mangia e si canta all’onore degli Dei dell’acqua. Un rituale mistico, davvero incredibile e soprattutto spettacolare.

Un’altra leggenda poetica viene dalla Moldavia. C’era una volta un tempo in cui il sole era rappresentato da un bel giovane che aveva l’abitudine di scendere sulla terra per ballare e festeggiare nei paesi. Sapendo quale era la sua passione, un dragone l’aveva seguito, e in uno di questi viaggi sulla terra l’aveva rapito e rinchiuso in una delle cantine dell suo castello. Gli uccelli non cantavano più, e i bambini non ridevano più, ma nessuno aveva il coraggio di affrontare il dragone.

Un giorno, un altro bel giovane coraggioso decise di andare al castello per liberare il sole.Tanti uomini lo accompagnarono dandogli la loro forza per riuscire ad affrontare il potente dragone. Il viaggio durò tre stagioni: l’estate, l’autunno e l’inverno. Alla fine dell’ultima, il giovane riuscì a trovare il castello del dragone dove era incarcerato il sole. Così cominciò una lotta che durò tanti giorni, fin quando il dragone venne sconfitto. Senza forze e ferito, il giovane liberò il sole, riuscendo a far felici tutti quelli che avevano riposto tutta la propria fiducia in lui.

La natura rinacque e la gente ricominciò a sorridere, solo che il giovane salvatore non fece in tempo a vedere arrivare la primavera. Il sangue caldo dalle sue ferite gocciolava sulla neve che si scioglieva. I bucaneve, messageri della primavera, spuntavano dalla terra scoperta quando l’ultima goccia di sangue cadde sulla neve bianca. Lui morì, ma felice, poiché la sua vita era servita a uno scopo così nobile.

Da allora la gente ha l’abitudine di intrecciare due fili: uno bianco e uno rosso. All’inizio di marzo, i ragazzi danno questo amuleto, chiamato “Martisor” (vedi foto), alle ragazze che amano. Il colore rosso rappresenta l’amore ed è il simbolo del sangue di quel bel giovane. Il colore bianco simboleggia la purezza, la salute e il bucaneve, il primo fiore che appare a primavera. Il significato letterale di “Martisor” è “piccolo marzo”. Un marzo più piccolo che possiamo mettere vicino al nostro cuore per dimenticare l’inverno e cominciare un nuovo anno.

TEMPO DI CARNEVALE – BRASILE E BULGARIA

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a cura degli allievi del laboratorio di Lingua e Cultura Italiana del progetto Fa.mi.lin.g

Quando si parla del carnevale brasiliano (vedi foto), il più conosciuto è quello di Rio de Janeiro, una festa unica nel mondo. Il pubblico guarda la sfilata delle scuole di samba nel Sambódromo, luogo costruito specialmente per l’evento. Su questo palcoscenico si svolge una lussuosa sfida tra tredici scuole di samba che sono giudicate da esperti in varie categorie. La preparazione comincia mesi prima e mobilita migliaia di membri: persone semplici che lavorano tutto l’anno per l’apoteosi della notte della sfilata. In questo senso, il carnevale offre un interessante scambio di ruoli, dove il povero diventa re sopra i carri allegorici, e il ricco paga per vedere. La sfilata è un spettacolo organizzato e di grande proporzione. I temi scelti per le scuole ispirano la composizione delle samba, le decorazioni dei carri allegorici e i costumi.

Nonostante la nudità totale sia vietata, ci sono sempre belle donne, sconosciute e famose, in top-less o con costumi succinti. Il ritmo e la danza provocante danno alla festa una sfumatura sensuale che è il simbolo del carnevale di Rio de Janeiro. Però nella regione Nord-Est di Brasile ci sono altri modi di festeggiare il carnevale. A Salvador e a Recife, il “trio elétrico” è il principale motore della festa. A Olinda, città vicina, la festa vede circa cinquecento grupi di carnevale sfilare sulla strada. Questa tradizione rappresenta un’importante traccia culturale della mescolanza che ha dato origine alla nazione brasiliana: i neri, gli indigeni e gli europei.

La tradizione di carnevale in Bulgaria arriva dei tempi prima di Cristo. Tutto il Paese celebra il carnevale (kukerovden) nell’ultima domenica prima della quaresima. Le principali figure del carnevale bulgaro sono i KuKepu’, gli uomini vestiti come animali con maschere sulla testa, con campane attacate alle cinture e cappotti confezionati con pelicce di animali. I Kukeri danzano nelle strade per spaventare le forze del male e per bandire il freddo, e per cercare la fertilità e la salute. I costumi sono coperti di pelo di capra e di pecora con una maschera di cuoio sulla testa. Solo gli uomini indossano queste maschere spaventose per fare mandar via per sempre gli spiriti maligni. I Kukeri visitano le case per augurare la salute, la fertilità e la prosperità e raccolgono i doni (la farina, i fagioli, le uova) degli agricoltori e dei contadini.

La maggior parte delle maschere sono fatte di legno e alcune hanno due faccie, rappresentando il bene e il male, e i loro colori hanno una grande importanza. Il rosso è il simbolo della fertilità e della rinascita della natura (il sole e il fuoco), il colore nero rappresenta la terra, il bianco è il simbolo dell’acqua e della luce. In Italia esistono alcune maschere di carnevale simili in Sardegna.

TEMPO DI CARNEVALE – ECUADOR E PERU’

a cura degli allievi del laboratorio di Lingua e Cultura Italiana del progetto Fa.mi.lin.g

In questo periodo dell’anno, prima che cominci la quaresima, tutti i Paesi del mondo legati alla tradizione cristiana festeggiano il carnevale. In America Latina ci sono le feste più conosciute in cui il dolce far niente fa rima con l’allegria, il gioco, il ritmo e il folclore.

Nel laboratorio di Lingua e Cultura Italiana del progetto Fa.mi.lin.g – dove numerosi partecipanti di nazionalità e lingue diverse imparano l’italiano – è stato disegnato un quadro delle celebrazioni carnevalesche nei vari Paesi di origine.

In Ecuador (vedi foto) il carnevale dura tre giorni, durante i qualli le scuole e gli uffici restano chiusi per dedicarsi completamente ai festeggiamenti. Nella regione interna del paese, la sierra, la festa consiste nella sfilata dei carri allegorici, balli tradizionali con i vestiti tipici e la gente per la strada. Si fanno molti scherzi, tirandosi i palloncini ripieni d’acqua, uova, farina, talco e polvere pica-pica. Lungo la costa, invece, si organizzano feste sulla spiaggia con musica dal vivo, concerti, e concorsi miss maglietta bagnata e anche qui si fanno molti scherzi con la sabbia e l’acqua. Il mercoledì delle ceneri, tutti assistono alla Santa Messa durante la quale il sacerdote fa una croce sulla fronte dei fedeli con la cenere, e questo significa la fine del carnevale e l’inizio della quaresima.

In Perù i festeggiamenti di carnevale sono legati all’agricoltura: insieme una forma di ringraziamento alla Madre Terra per il raccolto e di augurio per il prossimo. L’usanza più diffusa è un albero decorato di regali e palloncini di tutti i colori, maschere, frutta e stelle filanti. Le ballerine circondano l’albero danzando, e ogni coppia lo colpisce a turno con un’ascia cercando di tagliarlo. Alla fine, quando l’albero cade, tutti i bambini e gli adulti raccolgono i doni. Un’altra abitudine sono i giochi con l’acqua. Palloncini e secchi sono riempiti d’acqua e le persone vengono inseguite per essere bagnate. Il carnevale rappresenta anche l’unione della gente durante la preparazione della festa, durante la quale c’è una sfilata con i costumi e danze e si elegge la regina del carnevale.